I tre look del lumbard Salvini, il leghista che volle farsi statista

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di Giovanni Negri

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Voleva stare all’opposizione tre anni, mentre l’era di Silvio compiva il suo ciclo e i reduci di Forza Italia si mettevano in fila con il cappello in mano. Gli sarebbe andato bene quasi tutto: le larghe intese di Berlusconi con Renzi e Gentiloni, oppure un governo PD e 5 Stelle. Pur di portarsi a casa, con calma e dai banchi dell’opposizione urlante, l’intero pacco di quello che fu il Centrodestra. Invece gli è andata male, nel senso che gli è andata troppo bene.

Al lumbard Salvini tocca dismettere il look del leghista e indossare quelli dello statista. La Patria chiama, anche se non si sa quale Patria sia. Perché tutti a dire che hanno vinto Di Maio e Salvini, ma a ben guardare – in politica non contano solo i voti – forse ha vinto più Salvini che Di Maio. Il peso lo fa il 33 o il 18 % delle urne, ma non solo. Lo fa anche – solo i Giornaloni italiani non approfondiscono il dettaglio – un blocco elettorale che chiunque viva al Nord ha presente. Dal Monginevro a Trieste, nell’area del paese dove si concentrano il 75% dell’italico Pil e delle italiche tasse, Forza Italia è una simpatica bocciofila, un dopolavoro per anziani. Ormai c’è un blocco omogeneo con un solo riferimento visibile: Salvini Matteo. Il quale, dunque, ha urgenti problemi di look. Decisiva la scelta del vestiario, a naso con solo tre sarti possibili.

Il primo è un sarto per la Felpa Berlino. Dopo aver indossato settantadue felpe di altrettante città e regioni italiane, il nostro rischia di non sapere più a che Felpa votarsi. Ma se persevera con la Felpa è bene informarlo: la felpa della pancia profonda, dei suoi boati e rigurgiti, è in politica la parte più facile da recitare ma anche la più inutile. Chi sa indossare solo la felpa può farsi un guardaroba che va dalla Felpa Bolzano alla Felpa Trapani, in cento tonalità e colori, amplificando rigurgiti e flatulenze di ogni protesta. I terroni e i polentoni, i martiri della Fornero e quelli delle Quote Latte. Ma se si è Felpa e solo Felpa, che per rabbia si ritrova al potere , altro non si potrà e saprà essere che la Felpa del più forte, diventandone il più fedele servitore. L’ultima felpa – come quella del socialista Mussolini che finì fascista – sarebbe allora la Felpa Berlino. Una forte pacca sulle spalle da parte di Frau Angela, stupita di come quello strano ex populista possa essere divenuto un ottimo Gauleiter . Il perfetto Orban de Noantri.

Il secondo sarto può invece approntargli il Lederhose, tipico pantalone bavarese di pelli grezze di animali come il vitello, il camoscio, la capra selvatica e il cervo. Indossarlo può essere solo questione di tempo: espugnato a breve il Friuli e nel 2019 il Piemonte (qualcuno giura persino l’Emilia) con i mano le 5 regioni chiave del Pil italiano (Lombardia,Veneto, Piemonte, Liguria, Friuli) il Sciur Salvini potrebbe giocare un ruolo da Strauss per trasformare l’Italia in Repubblica federale. Nessuna riforma costituzionale, né Bicamerali o Commissioni Speciali. Come la Baviera fu cruciale nell’opzione federale della Germania moderna, con quelle regioni in mano, proclamando un federalismo fiscale anche soft, si può dettare legge e cambiare lo Stato. Poi, certo, i cattolici bavaresi finanziano con oltre 4 miliardi all’anno il deficit degli sfaticati luterani berlinesi: ma in cambio esercitano un peso politico enorme. Una via d’uscita, quella alla Strauss, che a Salvini consentirebbe di conciliare l’ origine lumbard con una riforma buona per un intero Paese.

Il terzo sarto, che forse non c’è, è quello che a Matteo il lumbard consiglierebbe una rivoluzione di look assoluta. Salvini dovrebbe invecchiare facendo taciturna esperienza, mettere su pancia, tagliarsi molto meglio il pizzetto, indossare un paio di occhialini dorati e rotondi, parlare di meno, molto di meno. Piantarla di farsi ossessionare da Berlino e Parigi, finirla con l’apologia di Putin giusto per fare il piccolo Le Pen, coltivare più relazioni con i posti che contano (Londra , New York, Hong Kong), piazzare quattro colpi strategici per l’agricoltura e il turismo tricolori, tagliare brutalmente gli sprechi della spesa pubblica anziché cianciare di abolizione della legge Fornero, finirla con i crocefissi in mano alla Rasputin e le fesserie contro le unioni civili, riformare di brutto e con la frusta la pubblica amministrazione, demolire la burocrazia e fare con Berlusconi come il genio fece con il Re. Trovargli una bella villona dove potesse andare a caccia, andare a donne, mangiare e bere a sfinimento purché non rompesse le palle e lasciasse fare. Così quello là, in un sol colpo, trasformò il piccolo regno e fece l’Italia. Però capisco: chiedere a Salvini di indossare il panciotto e gli occhialini di Camillo, forse è troppo.

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